Silvia Berruto, Prima valdostana di Va’ Pensiero, 9 maggio 2014

Ad Aosta si è tenuta la prima valdostana del documentario “Va pensiero. Storie ambulanti” del regista Dagmawi Yimer, nell’ambito del progetto culturale Collettivamente Memoria 2014 e dell’iniziativa in progress “12 città contro il razzismo” promossa dall’Associazione nazionale Prendiamo la Parola. “Va’ pensiero, storie ambulanti” è il racconto, lucido e struggente, di due aggressioni razziste avvenute a Milano e a Firenze e del tentativo di ricostruzione che ognuno degli aggrediti, sopravvissuti, sta tentando di agire su di sé….
 Nella narrazione delle loro esperienze i tre protagonisti esplicitano, nonostante l’aggressione subita e malgrado tutto, la speranza di continuare a vivere in Italia.
Hanno presentato il film, in prima assoluta in Valle d’Aosta, Karim Metref, giornalista, scrittore e membro di Prendiamo la parola, e Mohamed Ba, attore, autore teatrale, musicista, formatore, nonché uno dei tre protagonisti del documentario-testimonianza (…)
Il film è stato proiettato a tratti in un silenzio assordante… L’aria verdiana “Va’ pensiero” dall’imponente forza del coro classico, per la voce stupenda di Veronica Marchi, si fa commento lieve, misurato e toccante per sottolineare l’ineludibile relazione esistente, per sorte, fra individuale e collettivo.
Dopo Karim Metref, Mohamed ha preso la parola e ha pronunciato parole miti, dette con dolcezza, ma determinate. 
“La mia vita in Italia l’ho sempre dedicata ad un impegno quotidiano, attimo dopo attimo, nella ricerca di un terreno condiviso dove tutti gli uomini possono camminare mano nella mano, al di là del passaporto, del credo religioso”. Mohamed restituisce con lucidità lo spaccato di un’Italia che sembra dimentica delle sue origini culturali. Parla di un’Italia di un tempo che dal Rinascimento in poi è stata “un faro non soltanto per l’Europa ma per il mondo intero”. Racconta del suo arrivo in Italia e dell’Italia di cui si era innamorato.
 Quell’Italia che Mohamed definisce “un museo a cielo aperto, in cui ogni strada, ogni borgo, ogni piazza alberga dentro di sé un patrimonio che non si può nemmeno stimare”. Inizialmente il percorso di Mohamed è segnato dalla ricerca della bellezza inseguita soprattutto nelle bellezze architettoniche delle città ma infine ritrovata nelle virtù e nelle qualità degli uomini che le abitano. Mohamed parla di appiattimento culturale, di crisi non solo economica ma strutturale, dell’assenza di una cultura che premi il merito, della mancanza di un investimento in prospettiva. Con lucidità percepisce la presenza di una forte cultura dell’immagine radicata nelle menti giovanili. E’ da questa analisi che scatta la lotta di Mohamed contro l’inaccettabile deriva e il tentativo di spronare tutti coloro che incontra a “rispolverare il patrimonio storico e culturale prima del confronto
“. Perché nell’incontro fra persone diverse, in realtà sono i valori culturali di cui sono portatrici che si incontrano. 
Ma se da una parte si ha la consapevolezza di chi si è, dall’altra parte si ha il nulla. E l’altro per non subire l’imbarazzo del vuoto culturale fa prevalere la ragione della forza. 
Ecco brevemente spiegata la ragione del razzismo ma soprattutto l’incapacità di interazione fra persone su basi paritarie.”
Mohamed cita Dante Alighieri. “Fatti non foste per viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”. E dice ancora. “Io so chi sono e da dove vengo, 
perché dovrei temere di incontrare l’altro? Mal che vada rimango me stesso.
 Ma se uno teme di incontrare e di confrontarsi con l’altro 
forse all’appuntamento del dare e del ricevere
 non ha niente da portare… e perciò la cura è semplicemente questa: favorire momenti di confronto 
di dialogo, 
ma anche di scontri, purché ne esca una via maestra che è quella dell’interculturalismo
 dove ognuno sente di dare qualcosa all’altro
, dove ci si arricchisce a vicenda per un’ideale di una società più giusta più equa, dove l’uomo sarà al centro di ogni nostra azione
, dove ognuno si sentirà una perla 
la cui importanza avrà senso considerando l’intera collana
Mohamed a questo punto si apre. “Ho sempre pensato che lasciare tutto nel dimenticatoio fosse il rimedio migliore. Ma mi sbagliavo. Perché le ferite fisiche si curano anche in tempi brevi ma sono quelle dell’anima che hanno bisogno di maggior tempo.
 Il tempo passa ma in realtà rimane tale e quale.
 E perché nella nostra solitudine quel tatuaggio che ti trovi addosso non puoi fare a meno di vederlo.
 La difficoltà è di considerarlo parte di me.
 E su questo faccio fatica. E non provo nemmeno rabbia verso chi mi ha procurato quel tatuaggio. Provo pena. 
Provo pena perché mi muovo con la convinzione che non conosca il detto secondo cui ogni persona è un libro che aspetta di essere letto. E io non voglio privarmi di quella lettura. Sarebbe davvero sciocco privarsi di quella lettura“.

A quest’uomo, alla sua cura per la vita, e all’attaccamento alla vita anche dell’altro, si deve rendere omaggio.
 E lo voglio fare personalmente con un lungo interminabile abbraccio.
 Così come bisogna rendere omaggio alle memorie individuali ma soprattutto collettive per non giungere all’appuntamento del dare e del ricevere senza aver nulla da portare.
 Per questo le memorie significano così tanto e sono così importanti per il progetto culturale Collettivamente Memoria.
Collettivamente Memoria promuove incontri, scambi, immaginari altri, tentativi e proposte per futuri collettivi da costruire.
 Utopie concrete. 
Felici contaminazioni inclusive.
Fratello Mohamed ti ringrazio di essere stato con noi ad Aosta questa sera.
 Ringrazio il fratello Dag. 
Ringrazio i miei fratelli e le mie sorelle Karim, Viorica, Murat, Lorenzo, Aleksandra, Imane, Elena e Gabriele, Francesca.
Penso infine che dobbiamo ripensare alcune categorie tra cui democrazia e vita collettiva alla luce dei contesti mutati.
 Dobbiamo nel frattempo opporci a leggi “discriminatorie” e inaccettabili. Cito il provvedimento per la raccolta delle impronte digitali, anche dei minori rom del 2008, che non ebbe nulla da invidiare alle leggi razziste italiane del 1938 e che resterà per sempre una delle incancellabili sospensioni di democrazia avvenute in Italia.
 Ricostruire spazi di protagonismo politico allargati e onnicomprensivi per un empowerment individuale e collettivo per una vita migliore è ormai un irrinunciabile imperativo categorico.
 Per tutti.
Con rispetto,
 silvia

http://silviaberruto.wordpress.com/

Lascia un commento