Pietro Veronese
« C’è un uomo sdraiato sul lettino. La fisioterapista lo aiuta a compiere movimenti che gli risultano difficili; della dottoressa si vedono solo le mani, che spiccano bianche sulla pelle nera dell’uomo… Sono le immagini che più mi hanno toccato di Va’ Pensiero, film bellissimo che davvero la Rai dovrebbe comprare, per farlo vedere al pubblico più vasto possibile… In Va’ Pensiero ci sono i silenzi degli altri film di Dagmawi, la centralità del racconto orale, della parola. Ho chiesto all’autore se è una caratteristica africana e lui ha risposto che non c’entra, che lui semmai è svizzero, alludendo alla sua puntualità. Risposta che mi è piaciuta molto, perché se Dag è svizzero, allora io posso senza problemi essere africano».
Il Venerdì di Repubblica, 14 marzo 2014
Cécile Kyenge
« Grazie Dag per queste storie che ripercorrono la vita di quelli che spesso non si vedono e non riescono a parlare. Raccontare la vita delle persone vuol dire cercare di rendere umano il loro percorso. Tante volte quando si parla della diversità, si tende a non raccontare le persone, come se lì dentro non ci fossero dei sentimenti. Questo capolavoro è un contributo al cambiamento culturale che dovrebbe avvenire, che sta già avvenendo… Il lavoro che abbiamo visto questa sera, è un lavoro pensato, elaborato con competenza, con intelligenza.. Ci deve far capire che quando vediamo una diversità davanti a noi dobbiamo pensare che quella persona ci può offrire qualcosa di più ».
Firenze, 13 dicembre 2013
Carlo Bonini
« C’è chi sfida l’impossibile. Con la forza dell’intelligenza e della dignità che fugge l’autocommiserazione. Perché ha qualcosa di cruciale da raccontare e nulla da farsi perdonare. E il ‘cinema migrante’ dei 60 minuti di Va’ Pensiero, documentario di Dagmawi Yimer, ne è un manifesto. A maggior ragione per il tempo in cui si mostra, nei giorni cioè del secondo anniversario della strage del mercato di san Lorenzo, a Firenze. Quando la 357 magnum di Gianluca Casseri, neonazista toscano, spara nel mucchio dei “diversi”, degli ambulanti senegalesi, spegnendo sul colpo le vite di Samb Modou e Diop Mor e segnando per sempre quelle di chi avrà la fortuna o la maledizione di sopravvivere. Quelle di Sougou Mor e Mbengue Cheik, che di Va’ Pensiero sono appunto protagonisti. Dagmawi Yimer ci porta oltre quella linea dove normalmente ci fermiamo. Nei giorni, nei mesi intollerabili del “dopo”. Quando la luce della cronaca si spegne, il silenzio annacqua la memoria e la vittima dell’aggressione razzista rimane da sola sul lettino di ospedale della riabilitazione o sulla malinconica panchina di un parco, a fare i conti con le indelebili cicatrici del corpo, carne deforme e tumefatta dal piombo di un proiettile a frammentazione e con quelle, peggiori, dell’anima».
La Repubblica, 9 dicembre 2013
Flore Murard-Yovanovitch
Va’ pensiero, scena per scena ti conduce piano all’interno di quella violenza, con chi l’ha inspiegabilmente subita. Provoca con questa domanda: perché persiste oggi la violenza razziale? Questa malattia del nostro tempo. Il film-domanda di Yimer è molto poetico, dolce e fluido, con lo splendido montaggio di una professionista del calibro di Lizi Gelber. In 60 minuti, ti conduce in un crescendo drammatico nell’odierno cuore di tenebra. Per renderlo “visibile”.
L’Unità, 13 dicembre 2013
Simone Moraldi
Va’ pensiero intreccia queste storie in un percorso che unisce la denuncia politica e il racconto dei personaggi. Il tutto è sapientemente “filtrato” dallo sguardo di Dag che è in grado di raccontare l’Italia, Milano, Firenze, gli edifici, le strade, le persone, mantenendo intatta una forza autoriale misteriosa: non sappiamo se venga dalle origini migranti di Dag, non siamo sicuri che il suo sia accented cinema, un cinema che “porta l’accento” di chi, da “straniero”, cerca di parlare la lingua del paese dove vive, ma sappiamo per certo che il film, come peraltro tutti i precedenti di Dag, trasmette una rara sensibilità nell’affrontare la materia del racconto. Questa leggerezza conferisce a un’operazione così politica un respiro poetico che rende Va’ pensiero un bellissimo film, nella sua struttura piana, nelle sue bellissime musiche – firmate da Veronica Marchi, Nicola Alesini, Madya Diebaté, Alvaro Lanciai -, nel suo linguaggio semplice e immediato.
Cinemafrica, 14 dicembre 2013
Francesca Materozzi
“Con la dolcezza e la poesia che ha sempre contraddistinto il suo lavoro, Dagmawi Yimer riesce a renderci partecipi dei pensieri e dei sentimenti dei protagonisti. Prende per mano e accompagna lo spettatore durante quelle conversazioni personali fatte in cucina, in camera o in un parco pubblico. Sembra di essere lì come se si trattasse di confidenze fatte da amici. Si viene talmente coinvolti da quella familiarità da quasi non rendersi conto di essere solo spettatori. Diventiamo partecipi con i tre protagonisti mentre preparando da mangiare o mettendo a letto il figlio e riflettendo su quello che è successo cercano di trovare un senso o almeno una via di fuga da qualcosa da cui si vorrebbe ma non si può tornare indietro”.
Corriere delle Migrazioni, 16 dicembre 2013
Marianna Cappi
“È in questo parlare dell’oggi e insieme di una storia che si ripete, la brutta storia del razzismo, che il documentario di Dagmawi Yimer (migrante a sua volta, sbarcato a Lampedusa nel 2006) arriva al cuore e alla coscienza, senza indulgere in indignazioni o lamentele di alcun tipo. E nel suo saper far convivere, in un piccolo tempo e dentro un piccolo budget, una grande tristezza (“O mia patria sì bella e perduta, o membranza sì cara e fatal”, canta dolorosamente Veronica Marchi) e il suo principale antidoto: l’arte di raccontare, la sola arma in grado di attentare al silenzio e allo spettro dell’invisibilità”.
MYmovies, 27 dicembre 2013
Luciana Parisi
Dopo aver visto Va’ Pensiero di Dagmawi Yimer, nessun italiano potrà più ascoltare l’aria verdiana senza richiamare le immagini intense, vere e generose di questo film, che racconta un’altra Italia rispetto a quella risorgimentale, diversa dal paese che si commuove guardando con nostalgia al passato, e pericolosamente contigua alla nazione immaginata dagli italiani che del canto degli ebrei prigionieri in Babilonia hanno indebitamente fatto il proprio inno. Va’ pensiero di Yimer ri-canta e contro-canta i patimenti degli israeliti, li trasforma con delicata intelligenza in una colonna sonora familiare e nuova al contempo, che mette in rapporto la diaspora ebraica e la tratta atlantica degli schiavi, la dispersione delle genti dell’Africa e le migrazioni contemporanee. L’imponente coro verdiano diventa nel film un’accorata voce di donna che accompagna le storie personali e i destini spesso sconosciuti e tragici di chi cerca casa e lavoro nel nostro paese, con uno spostamento di accento che raccorda sapientemente singolare e plurale, individuo e collettività. Va’ Pensiero si appropria dunque del coro antico, vi inserisce voci altre e più recenti, diventando un invito ad accogliere la diversità e la sofferenza come parte della storia di tutti. In questo modo Yimer riapre strategicamente gli archivi della cultura italiana e li riscrive raccontando con tono partecipato, ma con polso fermo, cosa significhi essere neri e stranieri nel nostro paese, vittime di un razzismo cieco quale quello che ha colpito gli immigrati africani a Firenze il 13 dicembre 2011.
Annalisa Oboe
Padova, 10 gennaio 2014