C’è un uomo sdraiato sul lettino. La fisioterapista lo aiuta a compiere movimenti che gli risultano difficili; della dottoressa si vedono solo le mani, che spiccano bianche sulla pelle nera dell’uomo. Poi l’uomo si alza , gli esercizi adesso sono da compiere in posizione eretta. Fatica a congiungere e stringere le mani dietro la schiena. Ecco, dice la fisioterapista, quando ci sarai riuscito facilmente allora sarai guarito.
Sono le immagini che più mi hanno toccato di Va’ Pensiero, il nuovo film di Dagmawi Yimer, regista etiope che vive in Italia da otto anni. L’uomo e Mor Sougou, uno dei tre sopravvissuti alla strage di venditori ambulanti africani compiuta a Firenze il 13 dicembre 2011. Mor, il suo compagno di sventura Cheikh Mbengue e Mohamed Ba, artista milanese originario del Senegal alccoltellato a una fermata d’autobus il 31 maggio 2009, sono i protagonisti di Va’ Pensiero, film bellissimo che davvero la Rai dovrebbe comprare, per farlo vedere al pubblico più vasto possibile. Le immagini della fisioterapia mi hanno colpito perché noi leggiamo “ferito” e pensiamo ok, si è salvato; e passiamo ad altro. Invece anni dopo, in una stanzetta di ospedale, le ferite sono ancora lì a dolere, a segnare la vita, a chiedere fatica nella speranza di un ritorno alla normalità.
In Va’ Pensiero ci sono i silenzi degli altri film di Dagmawi, la centralità del racconto orale, della parola. Ho chiesto all’autore se è una caratteristica africana e lui (sbarcato a Lampedusa nel luglio 2006) ha risposto che non c’entra, che lui semmai è svizzero, alludendo alla sua puntualità. Risposta che mi è piaciuta molto, perché se Dag è svizzero, allora io posso senza problemi essere africano.Il Venerdì di Repubblica, 14 marzo 2014
Lascia un commento
Devi essere collegato per inviare un commento.
Seguici!