Francesca Materozzi, Corriere delle Migrazioni, 16 dicembre

Nell’intimità di questo solitario percorso il regista Dagmawi Yimer riesce ad aprire un varco. Con la dolcezza e la poesia che ha sempre contraddistinto il suo lavoro, riesce a renderci partecipi dei pensieri e dei sentimenti dei protagonisti. Prende per mano e accompagna lo spettatore durante quelle conversazioni personali fatte in cucina, in camera o in un parco pubblico. Sembra di essere lì come se si trattasse di confidenze fatte da amici. Si viene talmente coinvolti da quella familiarità da quasi non rendersi conto di essere solo spettatori. Diventiamo partecipi con i tre protagonisti mentre preparando da mangiare o mettendo a letto il figlio e riflettendo su quello che è successo cercano di trovare un senso o almeno una via di fuga da qualcosa da cui si vorrebbe ma non si può tornare indietro.

Firenze, 13 dicembre: la Ministra Cecyle Kyenge si congratula con il regista al termine della proiezione.

Firenze, 13 dicembre: la Ministra Cecyle Kyenge si congratula con il regista al termine della proiezione.

Tutto questo avviene con le due città Firenze e Milano che fanno da sfondo. Come da sfondo fa la cronaca di quel 13 dicembre, le manifestazioni che ne seguirono, le dichiarazioni e la politica. Tutto ciò rimane presente ma distante, fa da contorno mentre scorrono le note e le parole di Va Pensiero che riesce a ritrovare dopo secoli il suo senso e il suo essere. Questo inno alla libertà, che per decenni è stato usato per fini di propaganda, sembra in questo film prendersi la sua rivincita e ritornare ad essere quello che era all’origine.

Dagmawi Yimer anche in questo documentario, dopo Come un Uomo sulla Terra (2008), C.A.R.A. Italia (2009), Soltanto il mare (2011), continua a farci conoscere i fatti, le storie e le persone che ci circondano quotidianamente da un altro punto di vista. Quello dei migranti si cui spesso di parla ma a cui di rado si chiede. Dando loro l’opportunità di raccontarsi ci obbliga, nel senso di imperativo interiore, a guardare in faccia l’effetto del razzismo su chi lo ha subito e ora deve superarlo e continuare a vivere. Ci mostra anche che, pur andando avanti, le cicatrici non spariranno mai.

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